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Ottobre 2008

"Non luogo" degli odori degli animali

di Massimiliano Borgia

C’è un luogo che noi umani non possiamo frequentare. Un “non luogo” che ci ha sempre stuzzicati e dove siamo sempre entrati cercando di interpretarlo perché...ne andava nella nostra vita.
Per gli animali, al contrario, il mondo degli odori è qualcosa che esiste davvero. Poterci stare dentro a pieno titolo; poterci vivere usandolo e respirandolo, fa la grande differenza con l’Uomo.
Già, perché noi non possiamo capirlo, possiamo solo adeguarci, spesso senza riuscirci.
Era già così per i primi Homines sapiens che scacciavano via via i Neanderthal. Anzi, era già così anche per i Neanderthal, anche se quelli erano molto più vicini al mondo animale di quanto non lo fossero i Sapiens.
Se era già così per popolazioni che sugli animali ci vivevano e dagli animali dovevano magari fuggire (e che l’olfatto lo avevano molto più sviluppato di noi), figuriamoci per noi, uomini del millennio artificiale delle confezioni con data di scadenza, degli avvisi acustici, dei segnali convenzionali internazionali, della comunicazione facile e delle banche dati a portata di mouse.
Gli odori per la generazione prima delle nostre, diciamo almeno fino a quando si doveva capire col naso se la carne era andata davvero così a male da non poterla nemmeno stracuocere e aromatizzare con erbe e aceto (il “carpione”, era in fin dei conti un modo per mascherare odori della putrefazione incipiente e di conservare). Dagli odori le mamme dell’era pre-post industriale capivano se il bimbo stava male, se il suo alito nascondeva la malattia e se le sue feci dimostravano un disagio intestinale. Dall’odore della terra il contadino sapeva dirti se era il momento di seminare e se il letame era maturo al punto giusto per diventare un ottimo concime. Ma soprattutto l’odorato serviva per avvicinarsi al cibo e con l’olfatto (come per i suoni e le immagini) nel nostro cervello c’era una specifica banca dati degli odori riconoscibili come positivi, incoraggianti e di quelli pericolosi, allarmanti.
Oggi per noi l’olfatto è un senso secondario, tanto da fare pensare agli antropologi che prima o poi l’Uomo del futuro ne sarà privo.
Così oggi, ancora più di ieri, per noi è quasi impossibile pensare che un animale l’odorato serve per vivere. Per muoversi, per cercare il cibo, per sfuggire a un agguato, per trovare un partner, per riconoscere i propri cuccioli nel branco, per riconoscere il proprio luogo di vita. Senza gli odori gli animali selvatici non saprebbero come fare a vivere. E noi tutto questo possiamo soltanto osservarlo, studiarlo, sperimentarlo ma non possiamo entrarci: è un luogo da cui noi siamo condannati a stare fuori.
Gli animali del bosco imparano fin da cuccioli a distinguere gli odori caratteristici e persistenti dell’ambiente in cui vivono. Imparano a memoria il profumo dei fiori in primavera ed estate; l’odore di certe erbe come la menta lungo i ruscelli; l’odore delle cortecce degli alberi che possono essere più o meno tanniche; l’odore delle ife e dei carpofori dei funghi; l’odore di certe rocce. Riconoscono l’odore tipico che ha il tappeto erboso, la cotica di muschi, epatiche, ciuffi del sottobosco; l’odore che ha il tappeto di foglie appena cadute a metà autunno o quello dello stesso strato di foglie già attaccato da funghi, batteri e altri decompositori in tardo inverno. Riconoscono l’odore dell’humus asciutto o impregnato d’acqua di neve o di pioggia.
Nel bosco ci sono odori che noi non possiamo più distinguere, per via delle degenerazione del nostro senso dell’olfatto. Una categoria di questi odori è una di quelle molto importanti per la vita animale. Si tratta degli odori del semplice movimento. Che il movimento abbia un odore è un concetto che noi non possiamo capire ma un cinghiale o un capriolo lo capiscono benissimo. Nel bosco, infatti, gli odori caratteristici della stagione, del clima del giorno e anche dell’orario (per esempio al mattino è più umido, certi fiori esaltano il loro profumo soltanto a giorno inoltrato) sono degli “odori fissi”, immobili, fissati nell’aria che va e viene.
E’ proprio la rottura di questa consuetudine ad attirare l’attenzione dell’animale. E la rottura di questa monotonia quotidiana degli odori è data dal passaggio di un animale o dell’Uomo.
A parte l’odore caratteristico di ognuno (noi compresi) già il semplice calpestio dello stato odoroso di un prato o dell’humus attira l’attenzione degli animali. La semplice azione meccanica del nostro piede con il nostro peso sul terreno provoca una frammentazione del suolo, fili d’erba e foglioline spezzati, muschi strappati. Questo turbamento dell’equilibrio a terra è fatto di aromi che si sprigionano dagli steli spezzati delle erbe,dallo strato umido di humus, quello dove è più accanita l’azione dei decompositori, che viene messo alla luce anche per piccolissime superfici.
Il percorso di un passaggio crea così una “traccia”, che è diversa dalle altre almeno quanto è diverso il peso di chi l’ha prodotta, quante “zampe” ha, come procede sul terreno (passo, trotto galoppo; oppure se è un umano al passo o di corsa). Un lupo o una volta, così come un cane, sono in grado di seguire questa traccia continuando a distinguerla dalle altre proprio la sua particolare intensità. Un lupo è capace di seguire sempre la stessa traccia per chilometri, senza farsi distrarre dalle altre informazioni olfattive e senza farsi disturbare dal vento.
Naturalmente la traccia rimane maggiormente impressa da quegli animali che hanno zoccoli, come cervi, caprioli, cinghiali, mucche, cavalli, capre, camosci, stambecchi etc. etc. I canidi che hanno al posto delle grosse unghie cinque morbidi cuscinetti plantari hanno un passo che impatta più gentilmente con il terreno (meno rumore e meno traccia).
Ma quello che scatena il panico in un branco di cinghiali o l’eccitazione sessuale in una femmina di cervo è la “scia”. Cioè non più la semplice rottura di un equilibrio odoroso (che di per sé è il primo fatto che affina l’attenzione dell’animale) ma l’odore caratteristico di un altro animale (magari un cervo che ha marcato il territorio) o dell’Uomo. Questa scia è composta da sostanze volatili come cellule epiteliali morte, il sudore (ricco di composti ammoniacali); un profumo o un deodorante,  che si depositano a terra assecondando le correnti d’aria. In assenza di brezza si depositano in modo più o meno simmetrico, a destra e a sinistra della traccia, mentre se c’è una corrente d’aria o il vento si depositano seguendo la sua direzione (anche sorprendentemente lontano dalla traccia).
La scia può anche essere generata da un punto fisso. Per esempio da un po’ di benzina persa da una motosega; da resti di pic-nic; da una carogna; da escrementi (che non a caso in alcune specie animali vengono usati per marcare il territorio). Ma in questo caso risalendo la scia l’animale arriva alla sorgente di emissione e qui si ferma.
Quanto dura la persistenza degli odori animali nel bosco?
Dipende da come si sono depositate le molecole odorose e quanto tempo è trascorso durante la deposizione. Soprattutto però dipende da come il substrato è in grado di fissare e intrappolare gli odori. Il tempo è molto variabile: da un’ora alle 24 ore. Il tempo minimo di persistenza è per i terreni asciutti, esposti al sole, dove l’animale che si muove la scia una scia odorosa che dura circa un’ora. Al contrario se l’animale passa su un terreno umido, magari con cielo coperto, senza vento, il suo odore resterà sul terreno 7-12 ore. Lo stesso, naturalmente, vale per l’Uomo.
Se l’animale ha avuto un contatto diretto con un oggetto l’odore resta più a lungo. Tanto per capirci, se voi toccate un albero con la mano nuda il vostro odore resta sulla corteccia per 24 ore. Se il pelo dell’animale (o i vostri vestiti) struscia contro un ramo l’odore rimane per una decina di ore; ma se il ramo è umido magari perché c’è nebbia o perché ha appena piovuto, l’odore resterà per 24 ore.
La persistenza dipende anche dalla temperatura dell’aria e dell’oggetto che emette le molecole odorose. Oltre i 25 gradi non ci sarà perdita immediata di effetto nella persistenza degli odori perché la dispersione delle molecole odorose è massima. A 5 gradi l’odore dimezza la sua persistenza perché viene dimezzata l’evaporazione delle molecole odorose. A meno 15 gradi, pur essendo presente, l’odore perde il 90 per cento della sua pregnanza.
I recettori per le fibre nervose dell’olfatto sono collocati nella mucosa della parte superiore della cavità nasale. Il senso dell’olfatto è regolato soprattutto dal volume dell’aria satura di particelle odorose che viene a contatto con questi delicati ricettori. Più l’animale forza l’inalazione (la sniffata) e più alta è la percezione degli odori.
L’animale utilizza l’olfatto per percepire il pericolo anche quando dorme. Una zona del cervello dà l’allarme quando entra nella zona olfattiva un odore che preoccupa. Ma un animale che dorme respira piano e quindi incamera meno aria di quando vuole annusarla da sveglio. Quindi l’olfatto è meno efficiente.
Ma l’odore può essere facilmente mascherato. Cioè a un odore può essere sovrapposto un altro odore.
Se si osserva un cinghiale, una volpe o un capriolo si vedrà come ad ogni passo o ad ogni brucata alzerà la testa annusando palesemente l’aria. Annusa verso l’alto prima da una parte poi dall’altra. E’ un gesto continuo che accompagna tutta la giornata o la nottata dell’animale. Un gesto abituale che viene ripetuto migliaia di volte nell’arco delle 24 ore. L’annusata serve per distinguere dal cocktail di odori che impregna l’aria quelli che possono rappresentare un pericolo o comunque una fonte di interesse per l’animale.
Perché l’animale “riconosca” l’odore deve aver potuto abbinare più volte l’afrore di Uomo alla sua immagine e al rumore che produce il suo passo. E poi l’odore percepito va verificato. Non sempre alla prima percezione l’animale si allarma. Dipende anche dal carattere tipico della specie: il capriolo per esempio difficilmente scappa subito, ha sempre l’esigenza di vedere da dove arriva quell’odore (o quel rumore). Il cervo e il cinghiale invece scappano senza cercare di vedere che cosa è che puzza in modo così inusuale. Ma anche in questi casi non è con la prima sniffata che l’animale viene preso dal panico. Prima assaggia l’odore, poi gira il naso per “pulirlo” annusando aria che non contiene quell’odore. Infine cerca di nuovo la scia odorosa per riannusarla. E può fare così diverse volte.
Se un cinghiale corre, respira forte. Se inspira velocemente e altrettanto velocemente espira, l’aria non ha il tempo per essere analizzata finemente dai recettori nasali. Infatti, per annusare il pericolo il cinghiale si ferma o va al passo.
Non sempre gli odori umani (i diversi odori diversi per ciascuna persona) e le loro contaminazioni con odori ambientali (cucina, automobile, ambiente di lavoro) allarmano gli animali. Spesso un odore umano viene percepito come trascurabile un giorno e un altro avvertito come pericoloso
Il cane possiede 220 milioni di recettori olfattivi mentre nell’Uomo sono soltanto 5 milioni) e la sua superficie epiteliale olfattiva può arrivare a 150 Cm2 contro i 3-4 cm2 dell’Uomo. La volpe ha un olfatto 30 volte più sviluppato dell’Uomo. Il naso animale può distinguere dai 2000 ai 4000 tipi differenti di odori.
Gli odori non sono tutti uguali. Ma tutte le molecole odorose possono essere trasportate dall’aria. Possono fluttuare per un tempo comunque non lungo, oppure essere innalzate da una microcorrente termica, diramandosi in direzioni inaspettate seguendo la conformazione del versante e la composizione vegetale del bosco. Un declivio con alberi alti, privo di sottobosco, lascia circolare e salire le correnti d’aria. Viceversa un bosco con fitto sottobosco, cespugli, alberi di diverse età, limita la circolazione dell’aria a livello del suolo, che tenderà a cercare corridoi di transito e buchi in cui passare.
Le molecole odorose anche se trasportate dall’aria prima o poi tendono a cadere a terra e ad attaccarsi a erba, foglie etc.
Una lince che aspetta il capriolo standosene su un ramo di faggio ha il problema che sotto di lei si deposita dopo una decina di minuti una cascata di molecole odorose che andranno ad impregnare il terreno sottostante descrivendo un cerchio molto più grande di lei: un effetto ombrello. Ma se stesse a terra, ad attendere la sua preda dietro un cespuglio, il terreno sotto le sue zampe si saturerebbe di odore molto più rapidamente. In alto, infatti, le correnti controbilanciano la caduta degli odori portandoli lontano dalla zona di caccia, magari disperdendoli, oppure se le correnti sono deboli facendole cadere comunque oltre la zona di attesa della preda. Anche su un ramo la lince deve sperare che il capriolo arrivi dalla parte in cui lei riceve il vento sul muso.
Se il predatore caccia a terra, come fanno, per esempio, il lupo o la volpe, no solo lascerà a terra il proprio odore, ma a partire dalla sua posizione si svilupperà una scia odorosa portata dalle correnti attraversando tutta la sua zona di caccia. Sono proprio questi effluvi che devono essere prontamente captati dalle prede. Un cinghiale, un cervo, un capriolo che non fa costantemente attenzione agli odori pericolosi è condannato a morte (naturalmente se il predatore esiste in natura…).

 

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